lunedì 14 novembre 2011

STANZA #001: Friedrich Leibacher


Sala del Consiglio di Zug, Svizzera: sono le 10.35 del 27 settembre 2001.
Friedrich Leibacher, 57 anni, elude ogni forma di sorveglianza e fa irruzione sparando all’impazzata. 

A cadere sotto i suoi colpi sono giornalisti, parlamentari, il pubblico presente alla seduta. Nessun piano preordinato, solamente una cieca furia distruttiva. Al termine del massacro rivolge la pistola contro di sé: un colpo alla tempia pone fine alla sua vita e apre, nel contempo, tragici interrogativi. Era possibile prevedere, comprendere lo sconvolgimento di una mente malata? Perché di questo certamente si tratta. 
Leibacher qualche tempo addietro era venuto alle mani con un conducente di autobus; apparentemente un banale litigio, ma ciò aveva aperto in lui una profonda ferita psicologica, lo aveva indotto ad avviare una serie impressionante di rivendicazioni, di esposti, di ricorsi presentati alla corte suprema di Zurigo. Lo scontro con l’autista era divenuto per lui la metafora dell’ingiustizia, una quotidiana ossessione: ogni richiesta respinta o, peggio ancora, banalizzata e ignorata era divenuta alimento per la sua fame di vendetta. 
Tra i banchi della Sala del Consiglio si contano 14 morti e 16 feriti. 
La fotografia di una strage.

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